SONO UN PROFESSIONISTA IN ODONTOIATRIA

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SONO UN OPERATORE DELL’INDUSTRIA MECCANICA

Gestione dell'urgenza in un trauma dentale che ha determinato una frattura corono-radicolare complicata

Marcoli P., Mareschi P., Malagnino G., Coppola G.

CASE REPORT
(.pdf - 505 KB)

Marcoli P.

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1980, specializzato in Odontostomatologia nel 1984;
Socio attivo dell’Accademia Italiana di Conservativa dal 1986, membro del Consiglio Direttivo nel triennio 2007-2009 ed attuale tesoriere;
Socio attivo della Società Italiana di Endodonzia dal 1987, membro del Consiglio Direttivo dal 1996 al 2005 e Segretario Tesoriere dal 2000 al 2005;
Socio attivo della Società Italiana di Odontoiatria Conservatrice dal 1991;
Socio fondatore, membro del Consiglio Direttivo dal 1998 ed attuale presidente della Società Italiana di Traumatologia Dentale;
Socio attivo dell’European Society of Endodontics dal 1997;
Socio effettivo Amici di Brugg dal 2008;
Socio attivo dell’Accademia Italiana di Endodonzia dal 2010;
Titolare per “contratto” dell’insegnamento di Odontoiatria Conservatrice nell’a.a. 1989/90 e
professore a contratto di Endodonzia presso il CLOPD dell’Università di Brescia nell’a.a. 1991/92;
Professore a contratto di Microendodonzia Clinica e Chirurgica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nell’a.a. 2006/2007;
Professore a contratto di Endodonzia CLSOPD dell’Università di Parma dall’a.a. 1998/99 all’a.a. 2009/2010;
Insegnante di Endodonzia CLSOPD dell’Università di Parma dal 2010;
Autore di 82 pubblicazioni scientifiche.

Mareschi P.

Malagnino G.

Coppola G.

NumeriUno, 13: 10-12, 2012
Un trauma dentale è evenienza che frequentemente ed improvvisamente si inserisce nell’agenda di ogni dentista. Ogni trauma dentale deve essere affrontato correttamente sin dall’inizio, partendo da una precisa raccolta dei dati anamnestici, un esame obiettivo e strumentale ben eseguito e la compilazione di una completa cartella clinica, anche in funzione di possibili sequele medico-legali. In questo articolo verranno illustrate le procedure di prima visita e d’urgenza per gestire un grave caso di frattura corono- radicolare con esposizione pulpare. Preceduto da una telefonata, si presenta in studio come visita in urgenza un ragazzo di 18 anni che ha subìto venti giorni prima un trauma sui campi da sci, travolto da un altro sciatore. Il paziente arriva dopo un primo intervento in pronto soccorso lo stesso giorno del trauma, per sistemare una frattura delle ossa nasali ed un secondo intervento effettuato successivamente durante il quale è stato splintato ai denti vicini il 22, per il quale è stata fatta diagnosi di lussazione traumatica. Il paziente riferisce dolore alla masticazione ed una violenta ipersensibilità agli stimoli termici, soprattutto al freddo. L’esame obiettivo (Fig. 1) mostra vestibolarmente uno splintaggio con filo metallico intrecciato e composito a carico di 21, 22 e 23. Vestibolarmente non si apprezza nulla di significativo. I tessuti molli appaiono in condizioni ottimali, senza segni di infiammazione; il sondaggio è assolutamente normale. Dal lato palatale (Fig. 2) è evidente una rima di frattura che si estende trasversalmente da distale a mesiale con direzione apicale; i monconi appaiono diastasati e dalla rima stessa si intravede il tessuto pulpare ipertrofico ed infiammato. L’inclinazione della rima di frattura fa ipotizzare un’estensione verso vestibolare con una direzione apicale. Il dente, nonostante lo splintaggio, appare mobile e dolente alla pressione. L’esame radiografico endorale mostra una doppia rima di frattura su due livelli: uno più coronale, nettamente al di fuori rispetto al margine gengivale e l’altro più apicale, apparentemente al di sotto della cresta ossea (Fig. 3).
Unendo le informazioni dell’esame obiettivo e della radiografia endorale si può concludere con una diagnosi di frattura corono-radicolare a becco di flauto, con un margine palatale extra gengivale ma con una complicata estensione vestibolare, ben al di sotto del margine gengivale ed apparentemente più apicale rispetto alla cresta ossea. La rima di frattura ha inoltre esposto la polpa, attraversando trasversalmente il tetto della camera. L’apice dentale e le pareti radicolari appaiono aver completato la formazione ed essere quindi in grado sia di ricevere una terapia endodontica convenzionale che di poter reggere, nel tempo, opportunamente restaurato, le forze legate ad occlusione e masticazione. Dal punto di vista terapeutico, quindi, una lesione di questo tipo potrebbe aprire la porta a varie soluzioni. La prima potrebbe prevedere, data la complessa situazione dell’elemento in questione, un’estrazione e la sostituzione con un impianto immediato; ovviamente è una soluzione di non ritorno che ha probabilmente il pregio di essere abbastanza rapida e di non richiedere un iter terapeutico particolarmente complesso. La seconda potrebbe essere invece apparentemente più “conservativa” e prevede di rimuovere il frammento, trattare endodonticamente l’elemento, eseguire un complesso intervento di allungamento di corona clinica, ricostruire il moncone e posizionare un provvisorio in attesa della guarigione della chirurgia parodontale. Ultimata la quale si finalizzerebbe protesicamente. La critica ad una soluzione di questo tipo è legata alla demolizione parodontale a carico dei denti vicini che la corretta esposizione del margine sano dell’elemento comporterebbe. Probabilmente entrambe le papille verrebbero sacrificate, con un innegabile problema estetico. Altro limite di questo piano di trattamento è la necessità di aspettare molto tempo prima di finalizzare protesicamente il caso per attendere la maturazione dei tessuti parodontali dopo l’intervento. La terza soluzione ha un iter ancora più complesso ma sicuramente meno demolitivo per le strutture parodontali circostanti e prevede, una volta effettuato il trattamento endodontico, di procedere ad una estrusione ortodontica; al termine della quale l’intervento parodontale sarà probabilmente limitato ai soli tessuti molli, con conseguente beneficio (anche in funzione estetica) delle creste marginali interprossimali e delle papille. È evidente che i tempi a cui si accennava per la seconda soluzione sarebbero ulteriormente dilatati dal trattamento ortodontico. In questo piano di cura, inoltre, bisogna considerare il disagio, anche estetico, della fase ortodontica. Anche la decisione, da parte del paziente, su quale strada percorrere può non essere semplice e rapida. Per questo motivo, ed anche per fornire subito una soluzione che possa salvaguardare l’estetica, ovviamente eliminare il dolore ed assicurare la funzione, ma non precludere nessuna delle possibili soluzioni terapeutiche, è stato proposto al paziente il seguente trattamento che potremmo definire “di attesa”. Apertura di un lembo per arrivare in corrispondenza del margine vestibolare della frattura (Fig. 4), esposizione del margine stesso con la minima ostectomia necessaria per evidenziarlo ed isolarlo (Fig. 5), posizionamento della diga di gomma per poter effettuare il trattamento endodontico (Fig. 6).
La terapia canalare viene effettuata utilizzando la tecnica simultanea (sequenza Mtwo 10/.04, 15/.05, 20/.06 e 25/.06). Terminata questa successione ci si occupa della misurazione del diametro apicale, che viene effettuata utilizzando lime manuali in Ni-Ti di conicità .02. Accertato che il diametro dell’apice è 35 (in quanto una lima manuale del 35 raggiunge la lunghezza di lavoro mentre una del 40 no), si rifinisce il terzo apicale con un Mtwo 35/.04. A questo punto la preparazione canalare è completata; si prova un cono 35/.04, che si adatta correttamente al canale (Fig. 7) e si condensa la guttaperca con l’onda continua di condensazione, utilizzando l’E&Q Master (Fig. 8). Ad endodonzia completata si utilizza il frammento coronoradicolare (Fig. 9-10), che viene incollato, con tecniche adesive, al moncone ed accuratamente rifinito e lucidato (Fig. 11).
Completata la fase endodontico-ricostruttiva si rimuove la diga di gomma e si eliminano eventuali residui di composito (Fig. 12). Quando i margini sono rifiniti a dovere si procede alla sutura, riposizionando il lembo nella sua posizione originale. Questo per non penalizzare eccessivamente l’estetica delle papille (Fig. 13). È evidente che, considerando la profondità della frattura, è possibile una guarigione con sondaggi vestibolari aumentati.
Il paziente viene dimesso con prescrizione di terapia con antiinfiammatori al bisogno, sciacqui di clorexidina al 2 % per una settimana e borsa del ghiaccio per qualche ora. A distanza di una settimana viene rimossa la sutura. I tessuti appaiono in buone condizioni; il paziente non ha lamentato particolari fastidi ed ovviamente il dolore causato dall’esposizione pulpare è prontamente scomparso (Fig. 14, 15 e 16).
A distanza di un mese dall’intervento la situazione estetica è buona ed i tessuti molli sono in ottime condizioni vestibolarmente mentre palatalmente permane modica infiammazione, più riferibile al non corretto spazzolamento da parte del paziente piuttosto che alle sequele del trauma e del successivo intervento (Fig. 17 e 18). Vestibolarmente il sondaggio è di circa 3 mm. Ovviamente la premessa al trattamento eseguito resta sempre valida; data la complessità della lesione l’intervento corretto è implanto-protesico oppure solamente protesico previa esposizione del margine nelle modalità sopra elencate. Al momento il paziente ha momentaneamente ripristinato forma e funzione, nell’attesa di poter prendere serenamente e senza assilli la giusta decisione per la risoluzione del suo grave problema.
Approfondimenti:
Implantologia a carico immediato

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