Unendo le informazioni dell’esame obiettivo e della radiografia endorale si può concludere con una diagnosi di frattura corono-radicolare a becco di flauto, con un margine palatale extra gengivale ma con una complicata estensione vestibolare, ben al di sotto del margine gengivale ed apparentemente più apicale rispetto alla cresta ossea. La rima di frattura ha inoltre esposto la polpa, attraversando trasversalmente il tetto della camera. L’apice dentale e le pareti radicolari appaiono aver completato la formazione ed essere quindi in grado sia di ricevere una terapia endodontica convenzionale che di poter reggere, nel tempo, opportunamente restaurato, le forze legate ad occlusione e masticazione. Dal punto di vista terapeutico, quindi, una lesione di questo tipo potrebbe aprire la porta a varie soluzioni. La prima potrebbe prevedere, data la complessa situazione dell’elemento in questione, un’estrazione e la sostituzione con un impianto immediato; ovviamente è una soluzione di non ritorno che ha probabilmente il pregio di essere abbastanza rapida e di non richiedere un iter terapeutico particolarmente complesso. La seconda potrebbe essere invece apparentemente più “conservativa” e prevede di rimuovere il frammento, trattare endodonticamente l’elemento, eseguire un complesso intervento di allungamento di corona clinica, ricostruire il moncone e posizionare un provvisorio in attesa della guarigione della chirurgia parodontale. Ultimata la quale si finalizzerebbe protesicamente. La critica ad una soluzione di questo tipo è legata alla demolizione parodontale a carico dei denti vicini che la corretta esposizione del margine sano dell’elemento comporterebbe. Probabilmente entrambe le papille verrebbero sacrificate, con un innegabile problema estetico. Altro limite di questo piano di trattamento è la necessità di aspettare molto tempo prima di finalizzare protesicamente il caso per attendere la maturazione dei tessuti parodontali dopo l’intervento. La terza soluzione ha un iter ancora più complesso ma sicuramente meno demolitivo per le strutture parodontali circostanti e prevede, una volta effettuato il trattamento endodontico, di procedere ad una estrusione ortodontica; al termine della quale l’intervento parodontale sarà probabilmente limitato ai soli tessuti molli, con conseguente beneficio (anche in funzione estetica) delle creste marginali interprossimali e delle papille. È evidente che i tempi a cui si accennava per la seconda soluzione sarebbero ulteriormente dilatati dal trattamento ortodontico. In questo piano di cura, inoltre, bisogna considerare il disagio, anche estetico, della fase ortodontica. Anche la decisione, da parte del paziente, su quale strada percorrere può non essere semplice e rapida. Per questo motivo, ed anche per fornire subito una soluzione che possa salvaguardare l’estetica, ovviamente eliminare il dolore ed assicurare la funzione, ma non precludere nessuna delle possibili soluzioni terapeutiche, è stato proposto al paziente il seguente trattamento che potremmo definire “di attesa”. Apertura di un lembo per arrivare in corrispondenza del margine vestibolare della frattura (Fig. 4), esposizione del margine stesso con la minima ostectomia necessaria per evidenziarlo ed isolarlo (Fig. 5), posizionamento della diga di gomma per poter effettuare il trattamento endodontico (Fig. 6).