SONO UN PROFESSIONISTA IN ODONTOIATRIA

In ottemperanza con quanto previsto dalla normativa vigente, dichiaro sotto la mia responsabilità di essere un professionista del settore odontoiatrico e di essere pertanto autorizzato a prendere visione del contenuto presente in questo sito internet.

SONO UN OPERATORE DELL’INDUSTRIA MECCANICA

La tecnica flapless: indicazioni e limiti

Figliuzzi M.

CASE REPORT
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Figliuzzi M.

Laureato in Odontoiatria e Protesi Dentaria con 110 e lode presso la II Università di Roma Tor Vergata (tesi sulla Chirurgia Parodontale con il Professor M. Martignoni);
Specializzato in Chirurgia Orale presso l’Università “La Sapienza” di Roma;
Master di Parodontologia con il Prof. Odrich della New York University (USA);
Diploma in Clinical Periodontology nei corsi tenuti in Italia dalla scuola di Goteborg (Professor J. Linde);
Master Avanzato di Implantologia orale presso l’Università la Sapienza di Roma diretto dal Prof. Palattella;
Docente di II livello di implantologia presso i corsi della Escuela Superior di Barcellona;
Professore a contratto di Parodontologia II alla laurea specialistica in Odontoiatria e Protesi Dentaria, presso l’Università degli studi “Magna Graecia” di Catanzaro, facoltà di Medicina e Chirurgia, Malattie odontostomatologiche;
Relatore di diversi congressi e autore di pubblicazioni su diverse riviste nazionali e internazionali.

NumeriUno, 3: 4-7, 2009
La tendenza è infatti quella di migliorare sempre più sia l’aspetto funzionale, sia estetico, ma soprattutto di ridurre al minimo l’aggressività chirurgica dell’intervento, al fine di rendere migliore anche il decorso post-operatorio per il paziente. Nel nostro lavoro è stata eseguita una revisione della letteratura e una valutazione di casi clinici eseguiti con la metodica flap-less con lo scopo di evidenziarne indicazioni e limiti rispetto alle altre metodiche.
Lo studio ha preso in esame 83 impianti inseriti su 30 pazienti (19 femmine e 11 maschi) che presentavano condizioni tali da permettere l’inserimento con metodica flap-less.
Sono stati esclusi dallo studio tutti i pazienti che presentavano condizioni tali da poter interferire con i processi di osteointegrazione (fumo, diabete non controllato, patologie del metabolismo osseo, parafunzioni).
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a preparazione iniziale prima dell’intervento. Nel 13% dei casi la riabilitazione è avvenuta con carico immediato, nell’87% dei casi con carico differito.

PAROLE CHIAVE

Tecnica flap-less, aggressività chirurgica, osteointegrazione, ampiezza biologica, gengiva aderente, analisi del modello spaccato.

INTRODUZIONE

Il posizionamento degli impianti secondo le linee guida introdotte da Brånemark e Coll. sin dal 1977 prevedeva un’apertura di un lembo muco-periosteo e un periodo di attesa in assenza di carico per circa 3-6 mesi come prerequisiti fondamentali per ottenere una corretta guarigione dell’interfaccia osso-impianto.
Il protocollo chirurgico era stato concepito perché la preoccupazione primaria era di eliminare la contaminazione batterica e che eventuali micro-movimenti dell’impianto potessero impedire la corretta osteointegrazione dell’impianto intesa come “connessione diretta, strutturale e funzionale tra tessuto osseo vitale orientato e la superficie dell’impianto, posto quest’ultimo sotto carico funzionale”, con secondario incapsulamento da parte del tessuto fibroso come risposta riparatrice al trauma fisico.
Il drastico cambiamento avvenuto nel contesto socio-culturale ha reso un aspetto invalidante l’approccio chirurgico a causa di problematiche legate a fattori estetici, funzionali, lavorativi o psicologici.
Dal punto di vista biologico lo svantaggio maggiore della tecnica classica è rappresentato dal riassorbimento osseo che segue l’intervento, ed è dovuto all’aggressività chirurgica, in quanto durante l’intervento si priva la cresta ossea di quella che in zona edentula è l’unica fonte di irrorazione sanguigna, ovvero l’arteria sopra-periostea.
Gli altri svantaggi sono dovuti ai lunghi tempi che intercorrono tra intervento e carico dell’impianto (cui si è cercato di ovviare grazie al carico immediato e precoce), altri ancora sono correlati all’intervento, che viene vissuto da alcuni pazienti come troppo invasivo, e al post-operatorio durante il quale i pazienti spesso riferiscono dolore, edema e disagio.
La metodica flap-less si è sviluppata in risposta a queste richieste e consiste nell’eseguire l’intervento senza sollevare alcun lembo, posizionando l’impianto non sommerso e in alcuni casi associandovi il carico immediato.
È per ciò una metodica che presenta indubbi vantaggi per l’operatore e per il paziente, ma anche dei rischi, molti dei quali possono essere evitati con un’attenta selezione del paziente e un’accurata pianificazione dell’intervento.
Nel nostro studio è stata eseguita una revisione della letteratura ed è stata effettuata una valutazione di una serie di casi clinici per individuare indicazioni e limiti della metodica flap-less rispetto alle altre.

MATERIALI E METODI

Lo studio ha preso in esame 83 impianti Kohno (Sweden & Martina) inseriti su 30 pazienti (19 femmine e 11 maschi) distribuiti come da Tabella 1. Sono stati esclusi dallo studio tutti i pazienti che presentavano condizioni tali da poter interferire con i processi di osteointegrazione (fumo, diabete non controllato, patologie del metabolismo osseo, parafunzioni), anche se in uno studio sulla predicibilità di successo di tale tecnica Cannizzaro e coll. hanno incluso pazienti che normalmente presentano condizioni di esclusione, come pazienti forti fumatori, bruxisti, diabetici insulino-dipendenti, pazienti HIV + senza segni di AIDS conclamato, ottenendo peraltro buone percentuali di successo a dieci anni (comprese tra 95.5% e 100%).
Tredici di essi hanno richiesto espressamente la possibilità di ottenere una riabilitazione implantare con un intervento poco invasivo temendo il decorso post-operatorio dell’intervento classico; per i rimanenti 17 è stato l’operatore a scegliere la procedura dopo aver verificato che sussistevano le condizioni adatte all’intervento flap-less.
Tali condizioni sono state verificate tramite le opportune indagini radiografiche pre-operatorie (OPT, TC) e l’esame obiettivo.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti alla preparazione iniziale prima dell’intervento al fine di eliminare possibili fonti di infiammazione gengivale che avrebbero aumentato il sanguinamento intra-operatorio e di conseguenza diminuito la visibilità; inoltre il tartaro presente in bocca avrebbe ritenuto maggiormente la placca con il rischio di infettare la ferita nel post-operatorio.
Per il posizionamento degli impianti secondo la tecnica flap-less è stato necessario che nei pazienti fossero presenti almeno 6-7 mm di spessore osseo, (condizione necessaria secondo il parere di molti autori e dalla nostra esperienza); e un’adeguata altezza, che sono state attentamente verificate con le indagini radiografiche (endorali, TC). E’ stato altresì indispensabile che non fossero stati richiesti nell’ambito dello stesso intervento incrementi ossei o dei tessuti molli, poiché lavorando “a cielo coperto” sarebbe stato impossibile effettuarli. Particolare attenzione è stata prestata alla morfologia ossea, spesso infatti sono presenti concavità, soprattutto a livello della mandibola, che se non correttamente valutate espongono al rischio di perforazioni. In generale, un sottosquadro maggiore di 15° fa deporre per una chirurgia tradizionale con una visione diretta dell’osso da trattare.
Un sistema semplice per valutare lo spessore e la morfologia dell’osso è stato, oltre che con le indagini radiografiche, anche con l’analisi del modello spaccato, attraverso cui viene ricostruita l’andatura della cresta edentula. Tale tecnica è di particolare utilità quando si sceglie di posizionare gli impianti secondo la tecnica flap-less, poiché non c’è la visualizzazione diretta della creste ossee in fase intra-operatoria, quindi l’analisi del modello spaccato è indispensabile nella pianificazione pre-operatoria. Essa consiste nella misurazione dello spessore mucoso servendosi di aghi da iniezione in anestesia locale. Lo spostamento dello stop di gomma applicato sull’ago, che viene inserito fino al contatto osseo, misura lo spessore mucoso (Figura1).
La differenza fra lo spessore totale della cresta alveolare e la somma degli spessori mucosi, linguale e vestibolare, corrisponde all’effettivo spessore dell’osso. Eseguita la misurazione degli spessori mucosi, si prepara un modello in gesso, sul quale – per la visualizzazione degli spessori mucosi – si trasferiscono le singole misurazioni (Figura 2).
Si ottiene così la riproduzione spaziale della forma e della larghezza del processo alveolare. Per quanto riguarda i tessuti molli, è stato necessario che nella zona dell’intervento fosse presente un’adeguata quantità di tessuto cheratinizzato che garantisse stabilità all’impianto e non lo sottoponesse a trazioni, soprattutto nelle prime settimane dopo l’inserimento, e facilitasse l’igiene orale della zona. I primi impianti secondo tecnica flap-less venivano inseriti in zona intraforamina, dove la qualità dell’osso è buona (tipo I o II), e dove spesso è possibile ottenere una stabilità bicorticale. Oggi invece sono disponibili studi che affermano la predicibilità di tale tecnica anche nella mandibola posteriore e nel mascellare superiore (da Figura10 a Figura14).
Ciò che è importante è valutare la qualità dell’osso e utilizzare una preparazione del sito implantare conservativa.
Kan et al. suggerisce, nel caso si intervenga in settore antero – superiore, di utilizzare osteotomi di misura via via maggiore per la preparazione del sito, con un approccio più palatale rispetto al punto in cui si vuole posizionare l’impianto. Ciò permetterebbe di avere un maggiore controllo dell’espansione ossea e di scongiurare il rischio di fratture della corticale vestibolare, che è quella in genere più sottile.

Al fine di assicurare una buona stabilità primaria, è unanime il parere degli autori e anche il nostro circa l’utilizzo di impianti conici. La superficie dell’impianto può essere di vario tipo, ma soprattutto se la procedura è associata al carico immediato, è preferibile l’utilizzo di un impianto con superficie ad elevato grado di rugosità, che velocizza i processi di osteointegrazione.

E’ importante poi che il collo dell’impianto sia svasato e liscio per impedire la colonizzazione del sito implantare da parte dell’epitelio (rischio connesso alla tecnica non sommersa), e a connessione interna, per favorire la guarigione dei tessuti molli intorno all’impianto. Per l’esecuzione dell’intervento abbiamo proceduto con l’infiltrazione locale di anestetico (mepivacaina 1: 1000000), quindi con l’ausilio della dima chirurgica realizzata in fase di programmazione dell’intervento è stato eseguito un foro nella gengiva là dove saremmo andati ad inserire l’impianto. La dima ci dà non solo la giusta posizione, ma anche la corretta inclinazione. Il foro può essere praticato con una fresa a carota montata su micro-motore chirurgico a 300 giri al minuto con torque 1:1, oppure con una lama Beaver64 (Figura 4).

Eliminato il tessuto molle solo là dove ci serviva, siamo passati alla preparazione del sito implantare nel modo consueto, controllando di tanto in tanto la corretta inclinazione con la dima e i perni di parallelismo (Figura 5) e usando  frese per preparazione (o osteotomi) coniche e di diametro via via maggiore e fermandoci quando la dimensione del sito era di 0,5 mm inferiore all’impianto scelto. Ovviamente bisogna sempre tener presente che si lavora “al buio”, quindi tutte le fasi sono state eseguite con molta cautela, in quanto il rischio di perforare le corticali è uno dei maggiori pericoli connessi all’utilizzo di questa tecnica. A questo punto abbiamo posizionato l’impianto manualmente impiegando una forza non superiore a 30N in posizione non sommersa in modo che il collo liscio dell’impianto fosse a contatto con i tessuti molli e ne favorisse una guarigione ottimale. La sua svasatura inoltre, insieme al disegno preciso del sito implantare, scongiura l’altro maggiore rischio che si corre con la tecnica flap-less e con la tecnica non sommersa in generale, ovvero la colonizzazione del sito implantare da parte dell’epitelio con conseguente fallimento della terapia. Il paziente è stato dimesso con le consuete raccomandazioni circa l’igiene orale e l’alimentazione, senza aver ricevuto nessun punto di sutura, senza aver avuto eccessivo sanguinamento e con probabilità scarse di avere fastidi o gonfiori nel post-operatorio.
RISULTATI

Su 83 impianti, 11 (13 %) sono stati riabilitati con un carico immediato, gli altri (87%) con carico differito. (Grafico 1).

Cinque impianti (6%) sono andati incontro a fallimento, 3 in seguito a colonizzazione epiteliale del sito implantare, 2 per complicanze batteriche.
Più nello specifico, le percentuali di successo per zona trattata sono state come indicato in Tabella 2.
Ai 30 pazienti è stato inoltre somministrato un questionario per verificare il gradimento della procedura chirurgica, e da esso è emerso che:
• Il 6% ha avuto necessità di assumere antidolorifici nelle ore o giorni successivi all’intervento;
• Solo il 2% ha notato gonfiore nella zona trattata chirurgicamente;
• L’89% ha dichiarato di avere gradito maggiormente tra gli aspetti positivi la durata ridotta dell’intervento;
• Il 100% rifarebbe l’intervento alla luce di come si è svolto.
Dai risultati ottenuti e dalla letteratura si evince che la tecnica presa in esame presenta certamente dei vantaggi per cui risulta fortemente gradita ai pazienti vista la ridotta invasività chirurgica. Per l’operatore i vantaggi sono soprattutto di ordine biologico, in quanto opera in modo del tutto atraumatico e rispettoso della fisiologia ossea; inoltre posizionare l’impianto fuori dalla cresta ossea permette il rispetto dell’ampiezza biologica, ovvero quella distanza che costantemente si stabilisce tra l’osso e i tessuti molli e che è pari a circa due millimetri.

Agendo diversamente il rischio che si corre è di osservare un caratteristico riassorbimento a V in quanto l’organismo tende a ristabilire l’ampiezza biologica nel momento in cui essa va persa.

L’impianto in posizione non sommersa consente poi l’ottimale guarigione dei tessuti molli intorno all’impianto (Figure 8 e 9), che non saranno traumatizzati da successivi interventi per l’inserimento delle viti di guarigione, e le connessioni protesiche che rappresentano un punto di debolezza dell’impianto e che fungono da ricettacolo di batteri non solo sono ridotte al minimo, ma sono poste lontano dal solco implantare, la dove il paziente difficilmente riesce a pulirle.

Dal punto di vista pratico non dover allestire lembi e non dover dare punti di sutura è un vantaggio perché si riducono i tempi operatori con minore stress per i pazienti, che dimostrano gradire molto questo aspetto. Tra gli svantaggi della metodica flap-less invece va ricordata la curva di apprendimento necessaria per eseguire l’intervento e per avere una buona predicibilità di successo. Esiste infatti la probabilità di perforare le corticali durante la preparazione del sito o di perdere l’impianto per colonizzazione epiteliale o batterica.

È inoltre una metodica che abbiamo visto richiedere un’attenta pianificazione in fase pre-operatoria per la corretta ricostruzione delle creste ossee, e che non è applicabile a tutti i casi.

È necessario che sia presente un’adeguata altezza e spessore osseo, e quindi non possono essere fatti nello stesso intervento incrementi ossei. Deve essere presente anche una banda adeguata di gengiva aderente là dove verrà inserito l’impianto per garantire una buona stabilità primaria.

Siamo inoltre nell’impossibilità di poter gestire i tessuti molli proprio perché non c’è alcun lembo da poter posizionare secondo le nostre esigenze.

CONCLUSIONI

Da quanto emerso dalla revisione della letteratura e dal nostro studio la riabilitazione implantare mediante metodica flap-less risulta essere una valida alternativa alla riabilitazione tradizionale, anche se oltre a molti vantaggi sono emersi anche alcuni limiti che devono essere tenuti in considerazione nella scelta della metodica chirurgica.
Riassumendo, quindi, possiamo affermare che la tecnica flapless offre come vantaggi:
• La possibilità di eseguire un intervento atraumatico, rispettoso della fisiologia ossea e non invasivo;
• Tempi operatori ridotti;
• Non è necessario allestire lembi chirurgici quindi niente punti di sutura;
• Maggiore comfort per il paziente;
• Ridotto dolore e ridotto sanguinamento;
• Possibilità ove richiesto di associare all’impianto il carico immediato;
• Il rispetto dell’ampiezza biologica e dei tessuti molli peri-implantari grazie al posizionamento del collo liscio dell’impianto fuori dall’osso;
• Il posizionamento in cresta di elementi di connessione che costituiscono punti di debolezza e di ritenzione della placca, grazie all’utilizzo della tecnica mono-fasica.

Gli svantaggi legati all’utilizzo di tale metodica invece sono:
• L’impossibilità di associarvi interventi di incrementi ossei o dei tessuti molli;
• Il pericolo di deviare dalla giusta traiettoria perforando le corticali;
• Il rischio di colonizzazione del sito implantare da parte dell’epitelio;
• Impossibilità di gestire i tessuti molli al fine di aumentare la banda di gengiva aderente;
• Curva di apprendimento per essere in grado di sfruttare al meglio le potenzialità di questa metodica.
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