SONO UN PROFESSIONISTA IN ODONTOIATRIA

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SONO UN OPERATORE DELL’INDUSTRIA MECCANICA

Gestione di una paziente in trattamento con bifosfonati (alendronato sodico) da più di 5 anni e sua riabilitazione con carico differito su quattro impianti e con carico immediato su altri due

Moiraghi D., Minutolo V.

Case Report
(.pdf - 352 KB)

Moiraghi D.

Laureato in odontoiatria e protesi dentale con lode presso l’Università di Pavia.
Libero professionista in Milano.
Da diversi anni dedica particolare attenzione alla chirurgia implantare anche attraverso consulenza presso gli studi dei colleghi.

Minutolo V.

Diplomato nel 1984, è titolare del laboratorio Dental Work di Monza.
Relatore A.R.C.O., socio A.I.O.P., e socio attivo A.I.F.O. (Accademia Italiana Fotografia Odontoiatrica).
Ha seguito numerosi corsi di formazione sia in Italia che all’estero, concentrando le proprie capacità nel campo della microscopia collegata alla protesi implantare.
Ha frequentato dei Master in ceramica ed in seguito ha approfondito il lato estetico della protesi, seguendo dei corsi presso l’Oral Designe di Michel Magne.
è autore di alcuni articoli pubblicati a livello nazionale, ed ha partecipato attivamente alla formazione ed allo sviluppo dei gruppi di studio ANTLO presieduti da Renato Compagni, giungendo ad una relazione sull’esperienza delle metodiche dei vari sistemi implantari.

NumeriUno, 15: 21-23, 2013


Introduzione
I pazienti che assumono i bifosfonati sono da considerarsi a rischio odontoiatrico in quanto l’effetto indesiderato di tali farmaci è il rischio di sviluppare l’osteonecrosi dei mascellari in seguito a terapie di chirurgia orale ma anche di scaling e root planing.
I bifosfonati vengono utilizzati nel trattamento dell’osteoporosi, delle metastasi ossee, dell’ipercalcemia maligna, nel mieloma multiplo e nel morbo di Paget.
L’American Association of Oral and Maxillofacial Surgeons (AAOMS) stabilisce che un paziente è affetto da osteonecrosi dei mascellari quando vi è la concomitanza di tre fattori:
1. è in cura con farmaci bifosfonati o lo è stato;
2. è rilevabile esposizione di tessuto osseo necrotico nel distretto maxillofacciale da più di otto settimane;
3. non ha subito radioterapia nel distretto mascellare.

I fattori di rischio sono legati al tipo di farmaco (potenza e durata della terapia -Alcuni Autori consigliano di non procedere a terapia chirurgica quando la terapia orale è protratta per un periodo maggiore di 3 anni), il rischio sembra essere collegato anche al modo di somministrazione (rischio più elevato quando la somministrazione è per via endovenosa), alla localizzazione e invasività delle manovre (l’osso mandibolare è più colpito rispetto il mascellare), all’età (aumenta con gli anni), al tabagismo, mieloma multiplo, diabete e obesità.


Caso clinico
La paziente di 71 anni si presenta presso il nostro studio nel settembre del 2010. In anamnesi riferisce assunzione da diversi anni, 7/8 anni o forse più, di Fosamax 70 (alendronato-bifosfonati) per osteoporosi severa, e di Hizaard (losartan e diuretici) per la pressione. La Paziente inoltre fuma circa 20 sigarette/die.
All’esame obiettivo si osserva protesi fissa da 13 a 23 e da 33 a 44 e scheletrato con attacchi superiore e inferiore. Con lo status rx e all’OPT è evidente il grave stato di salute parodontale soprattutto dell’arcata superiore.
Prima di procedere con le manovre terapeutiche seguiamo il protocollo di Marx modificato dalla AAOMS nel 2007 che, nel caso di uso di bifosfonati orali da più di 3 anni, prevede:
- sospensione del farmaco 3 mesi prima e 3 mesi dopo la chirurgia, in accordo con il medico curante;
- valutazione del livello sierico di c-telopeptidi(ctx) in prima visita e prima della chirurgia (i valori devono essere maggiori di 150pg/ml);
- profilassi antibiotica.

Abbiamo quindi consultato lo specialista ortopedico che ha sospeso il Fosamax e prescritto il Cacit, e il ctx da un valore iniziale di 10pg/ml dopo 6 mesi è passato a 87pg/ml. Visti i bassi valori e il tabagismo abbiamo cercato di mantenere sotto controllo la situazione con sedute di igiene orale trimestrali. Dopo altri 6 mesi il ctx era ancora a 65 pg/ml e lo scheletrato era sempre più di difficile gestione.
La paziente molto motivata riduce inizialmente il fumo e poi smette di fumare.
Intanto eseguiamo la ceratura diagnostica su cui viene poi realizzata un mascherina radiologica e prescriviamo TAC del mascellare superiore.
Programmiamo due interventi:
Il primo dove inseriamo gli impianti, con tecnica sommersa, nel settore posteriore in posizione 14 16 24 26, quindi nelle selle edentule per ridurre il rischio infettivo in un tessuto poco mineralizzato ma soprattutto poco vascolarizzato data la lunga assunzione dei bifosfonati.
Sono stati eseguiti:
- igiene orale una settimana prima;
- profilassi con claritromicina 500 dal giorno prima e poi una/die per sette giorni;
- sedazione endovenosa con il collega anestesista che ha inoltre somministrato 2 g di cefalosporine di terza generazione (Rocefin);
- medicazione con clorexidina e acqua ossigenata ogni due giorni fino a rimozione delle suture;
- ribasature delle selle dello scheletrato con Hydrocast.
Il secondo a distanza di 3 mesi: mantenuto lo stesso protocollo, vengono estratte la radici superiori, posizionati due impianti in 12 22, riaperti gli impianti prima posizionati (in posizione 14 16 24 26), e grazie alla mascherina radiologica che, opportunamente trasformata in dima chirurgica prima, e conseguentemente in dima protesica poi, permette di rilevare una impronta di posizione con delle cannule in titanio (pilastri provvisori Simple) in modo da consegnare nell’arco di un giorno una Toronto avvitata provvisoria immediata.
Dopo tre mesi abbiamo finalizzato il caso con una arcata in zirconio integrale traslucente e ceramica solo sulle superfici vestibolari del gruppo frontale e cementata sugli abutment fresati.
Approfondimenti:
Implantologia a carico immediato

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